I Love Books: 76. Le ceneri di Angela


Trovo che l'incipit de Le ceneri di Angela sia profondamente ironico e promettente, soprattutto quando dice:

Ripensando alla mia infanzia, mi chiedo come sono riuscito a sopravvivere. Naturalmente è stata un'infanzia infelice, sennò non ci sarebbe gusto. Ma un'infanzia infelice irlandese è peggio di un'infanzia infelice qualunque, e un'infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora   

È stato questo inizio folgorante a convincermi a proseguire la lettura del romanzo, oltre al suo status carismatico di premio Pulitzer (1997).

Non avendo visto il film omonimo del '99 mi sono avvicinata alla lettura con curiosità vergine e, sulla scia dell'incipit, mi aspettavo risate e umorismo no-stop, un tipo di lettura leggera che, pur narrando disavventure d'infanzia dickensiana, riuscisse a farlo con spensieratezza e strafottenza.

L'intento dell'autore era sicuramente questo e il fatto che la voce narrante sia quella del piccolo Frank (si tratta di un'opera autobiografica, incredibile ma vero!) e suo il modo di vedere e descrivere la vita grama che lo circonda, è un chiaro segnale della volontà fanciullesca del romanzo, della sua prospettiva letterariamente poco formale e adulta.

In effetti c'è una mancanza di serietà generale che rende in qualche modo sostenibile (non sempre a dire il vero) l'insostenibilità straziante delle sfortune di Frank e della sua famiglia.
Se non fosse per questa verve autoironica e in qualche modo ottimista Le ceneri di Angela sarebbe un romanzo dell'orrore.

La disperazione contenuta in questo romanzo è troppa, perfino grottesca, e solo seguendo la linea guida consapevolmente non drammatica della narrazione si riesce ad andare avanti senza soffocare e piangere, senza star male di stomaco. Spesso però il mal di stomaco mi è venuto lo stesso.

Il susseguirsi di disgrazie, malattie, morti è talmente eclatante da risultare quasi ridicola e credo che la chiave di lettura del romanzo sia un po' questa: il dolore, quando si accumula all'inverosimile, quando perseguita senza tregua, finisce col perdere la sua connotazione funesta, la sua capacità di far paura e deprimere, per diventare una sorta di convivente scomodo, ma stupido, goffo, alla lunga trascurabile.

Inutile dire che siamo in presenza di un punto di vista infantile e poi adolescenziale e che la capacità di convivere con le tragedie della povertà e di superarle è ad esclusivo appannaggio del piccolo dickensiano narratore e dei suoi fratelli. Se la voce narrante fosse stata quella di un adulto, sarebbe stato uno strazio senza fine.

Lo stile narrativo de Le ceneri di Angela è vicino al parlato, senza punteggiatura e ordine, un po' come un flusso di pensieri e ricordi senza schemi sintattici perfetti; questo tipo di scelta di solito non mi piace, preferisco prose eleganti e ricercate, ma nel contesto "misero" e proletario del romanzo era l'unica scelta possibile, era la garanzia di totale autenticità di ciò che viene narrato.
Il fatto che l'irlandese dialettale sia stato tradotto con una sorta di ibrido romanesco-napoletano e che l'effetto sia a tratti pagliaccesco è un altro discorso.

L'Irlanda negli anni fra le due guerre, nella fattispecie la città di Limerick, è qualcosa di mefitico, un posto umido, malsano, bigotto, ignorante e all'interno di questo degrado la famiglia McCourt è uno sfascio totale: il padre è un ubriacone scansafatiche; la madre, l'Angela del titolo, lotta come può per la sopravvivenza, ma con una rassegnazione malinconica di fondo; i numerosi figli sono vittime innocenti, dalla vita fragilissima, eppure mai piagnucolose, mai patetiche.

Per fortuna che all'orizzonte c'è l'America e il sogno di raggiungerla.

Il seguito de Le ceneri di Angela è narrato da Frank McCourt nei suoi romanzi successivi, Che paese, l'America e Ehi, Prof!, ma io al momento mi fermo qui: questa dose di verismo tragicomico irlandese mi è bastata.

Commenti

  1. Verissimo, meno male un po' di sana autoironia, altrimenti sarebbe difficile resistere alla lettura di questo libro, che ho trovato comunque molto bello... pensa che ne sono uscita così traumatizzata che non ho ancora letto gli altri due libri, e di tempo ne è passato...

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    1. Ti capisco, nemmeno io voglio leggere gli altri due per adesso!
      L'autoironia rende tutto più sopportabile, nel libro come nella vita, però in casi disperati come quello narrato nel libro, l'amarezza è comunque inevitabile, idem la rabbia e altri sentimenti di frustrazione e quasi disgusto.
      Avrei voluto ancora più ironia, ma forse era impossibile con una vicenda così!

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  2. Non mi sono mai soffermata a leggere con attenzione quarte di copertina o recensioni, ma da questo libro mi sarei aspettata di tutto, fuorché di ironia.
    Immaginavo distruzione, devastazione e morte.
    E cenere.
    Il grottesco? Nemmeno.
    Deve essere molto particolare, sembra sospeso tra due tendenze totalmente opposte...

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    1. Sì, è mooolto particolare! Un misto di tragedia e commedia, di disperazione e ironia...

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