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Visualizzazione dei post da luglio, 2014

I Love Books: 75. Le vite di Dubin

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Nel panorama della letteratura ebraico-americana contemporanea il mio unico riferimento è Philip Roth , non ce n'è per nessuno. Dopo un'esperienza terrificante con Saul Bellow  e un'eterna paura di approccio nei riguardi di  Paul Auster , ho deciso di continuare nella mia monotematica e appagante direzione roth-centrica. Poi però ho visto tra i suggerimenti d'acquisto on line simil-Roth il nome di Bernard Malamud , anche lui scrittore jewish moderno (premio Pulitzer e due volte National Book Award) che conoscevo vagamente (per lo più per la fama del suo Il commesso ) e di cui non avevo mai letto o previsto di leggere nulla. Così nell'ultimo ordine su Amazon ho inserito Le vite di Dubin , che Malamud considerava il suo romanzo migliore, e mi sono predisposta al cambiamento, all'ampliamento del mio orizzonte letterario statunitense ed ebraico. Dico subito che Malamud in qualche lontano modo somiglia a Roth , almeno per quanto riguarda le tematiche e

Serie tv mon amour: 28. Girls (terza stagione)

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Se si ha un'età compresa tra i 25 e i 30 anni o poco più e un'esistenza in linea con gli standard socio-lavorativo-emotivi contemporanei, Girls è una medicina da assumere regolarmente, la salvezza, lo specchio della solidarietà, l'occasione perfetta per il momento quotidiano dell'autoironia. Non so dirvi a parole quanto ami questa serie e Lena Dunham (ho cercato di dirvelo qui  e  qui ), ma posso dirvi che questa terza stagione l'ho amata forse più delle precedenti per più di un motivo. L'empatia, che si era vagamente allentata negli eccessi della seconda stagione, è tornata ad essere fortissima: mi sento così capita da questa serie, mi sento in qualche modo citata, tirata in ballo ed è una sensazione esaltante. Lena Dunham è incontrovertibilmente e per il terzo anno di fila il mio guru. Dopo le nevrosi e il crollo emotivo di Hanna e la generale negatività   della seconda stagione, nella terza la ragazza è più equilibrata, propositiva e innamora

I Love Books: 74. Persuasione

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Di solito Austenland è uno dei posti letterari migliori in cui trovare rifugio dalle tensioni e dai magoni. D'estate poi è anche una forma mentale di riparo termico; sarà tutta quella campagna inglese che termina quasi sempre con il suffisso -shire, il suo dispensare natura verde e piogge improvvise, il modo in cui Jane la descrive tuffandovi dentro i suoi personaggi, fatto sta che tutto ciò mi calma e mi dà refrigerio. Stavolta però qualcosa è andato storto, non so se nella mia percezione del testo o nel modo in cui Jane l'ha scritto; non ci siamo capite, non ci siamo piaciute affatto. Dei sei romanzi maggiori della scrittrice mi resta da leggere solo L'abbazia di Northanger , ma al momento posso dire che Persuasione , che è il suo ultimo romanzo (pubblicato postumo), è decisamente il peggiore. L'ho trovato così noioso e così poco austeniano da sentirmi scoraggiata fin dalle prime pagine, quelle in cui di solito Jane riesce a creare un'atmosfera e ad agga

Serie tv mon amour: 27. Masters of Sex

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D'estate la mia cinefilia (e la cinematografia in generale) latita e mi sento più predisposta a vedere serie tv: una o due puntate, uno o due bicchieri di acqua tonica, l'arietta che arriva dal balcone. Niente di troppo impegnativo per finire la giornata. Mentre mi lancio nell'impresa intensiva e fagocitante di vedere tutte le stagioni di Game Of Thrones (ho già finito la prima e sono a metà della seconda, yeah!), porto avanti qualche altra serie. Una di quelle che ho appena finito di vedere è Masters of Sex . Mi sono sentita subito attratta dall'estetica vintage della serie, dalla storia vera di William Masters e di Virginia Johnson e dalla loro rivoluzione medico-sessuale, dalla promessa di indipendenza e audacia che tale vicenda portava con sé. Promessa mantenuta in pieno da Showtime (come sempre d'altronde!) che offre una serie tv di grande qualità e di grande libertà, esteticamente bellissima, tematicamente accattivante, in cui l'approccio stori

I Love Books: 73. La signora delle camelie

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Non so cosa mi abbia spinto a leggere La signora delle camelie subito dopo aver finito di leggere   Il cardellino , forse il desiderio di sostituire l'alienazione metropolitana contemporanea con un po' di romanticismo demodé, il gigantismo americano con una dimensione più raccolta ed europea; forse, semplicemente il bisogno di un po' di amore classico, seppur triste, dopo la valanga di solitudine e perdizione che viene fuori dal romanzo della Tartt . Devo dire che forse preferivo il nichilismo tossico del protagonista de Il cardellino e la sua difficile New York, alla melliflua Parigi ottocentesca che fa da sfondo al romanzo di Dumas e all'agire operistico dei suoi personaggi. Di solito ho la sindrome dell'epoca d'oro e trovo più conforto nella letteratura vintage, ma La signora delle camelie è un po' troppo teatrale per i miei gusti. L'ho trovato patetico e non necessariamente in senso dispregiativo, ma nel senso letterale di pathos vecchi

I Love Books: 72. Il cardellino

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Premio Pulitzer per la narrativa 2014, Il cardellino è un romanzo preceduto dalla sua fama, è il fenomeno editoriale di cui si legge e sente parlare un po' dovunque e che trascina nel vortice mass mediatico e commerciale del "voglio leggerlo anch'io!". Se al suo status di bestseller imprescindibile del momento, si aggiunge il fascino misterioso da outsider di Donna Tartt e il suo farsi viva ogni 10 anni con romanzi costruiti in modo maniacale e architettonico, non si può fare a meno di provare curiosità. Io l'ho fatto mio a soli 4,99 euro approfittando di un'offerta Kindle e mi ci sono immersa subito. La storia dickensiana di Theo Decker che a 13 anni perde la madre in un attentato al Metropolitan Museum di New York, trova e porta con sé il quadro del maestro olandese Carel Fabritius "Il cardellino", viene adottato da una ricca e alienata famiglia newyorkese, poi trascinato dal padre alcolista a Las Vegas, per poi ritrovarsi di nuovo a Ne