I Love Books: 119. Quel che resta del giorno


Dopo la maratona mozzafiato di Roderick Duddle, mi sono ritrovata casualmente in mano la calma serafica e la ragionata consapevolezza di Quel che resta del giorno, un'esperienza di lettura quasi spirituale.

Il ricordo, la meditazione su di esso, il senso di ogni azione che di tanto in tanto si affaccia a fare domande, il bello esterno e l'introspezione graduale.
Tutta la grazia, la misura e la classe dell'autocontrollo del mondo li trovate dentro questo meraviglioso romanzo, fra le sue pagine levigate, fra le descrizioni accurate e i pensieri ordinati del maggiordomo inglese Stevens, figura dalla nobiltà morale indimenticabile.

Quel che resta del giorno ha la quiete dimessa del tramonto, quella pacata sospensione che calma l'anima e distende, quel dorato nitore che avvolge lo spirito e rende più saggi, più in pace.
La luce diurna cede il posto senza atti bruschi a quella serale ed è in quel momento di transito che si annida la bellezza più struggente, quella degli abbandoni nostalgici, dei rimpianti, delle valutazioni personali. Senza eccedere mai, sempre con dignità e decoro, senza compiacimenti.
Ma che senso vi è nel continuare all'infinito a far congetture su che cosa avrebbe potuto accadere se tale o tal'altro momento si fosse risolto in maniera diversa? In questo modo, forse, si può condurre se stessi alla follia.
La campagna inglese, la solenne compostezza di un maggiordomo, il suo viaggio nel presente e quello a ritroso che intraprende la sua mente.
Un viaggio panoramico ed esteriore, immerso in una squisita atmosfera estiva, in una quiete bucolica di un'Inghilterra mai così paesaggistica.
Il panorama inglese, nelle sue espressioni più belle - come quella che ho avuto modo di vedere questa mattina - racchiude in sé una qualità della quale i panorami di altre nazioni, per quanto a prima vista più spettacolari, immancabilmente risultano privi. Si tratta, io credo, di una qualità capace di designare il panorama inglese agli occhi di qualunque osservatore obiettivo, come il più profondamente appagante del mondo, una qualità questa che è probabilmente meglio riassunta dal termine «grandezza» [...]Noi chiamiamo questa nostra terra Gran Bretagna, e vi saranno sicuramente coloro i quali ritengono si tratti di una abitudine in qualche modo presuntuosa. Pure, oserei dire che il panorama che si gode nel nostro paese basterebbe da solo a giustificare l'uso di tale nobile aggettivo.
E di pari passo agli spostamenti in macchina tra il Dorset, il Somerset, il Devon e la Cornovaglia, c'è il viaggio interiore, un imprevisto lavoro di scavo e di illuminazione di zone d'ombra, pochi giorni per sondare anni, una sospensione vacanziera del proprio lavoro e l'analisi indiretta di una missione personale che è quasi sacerdozio.

Dignità è la parola chiave, è il motore aggraziato che ha animato la vita di Stevens, così irreprensibile da sembrare insensibile, dotato di una capacità di controllo e di contenimento delle spinte personali, da far pensare ad un inanimato prototipo di perfezione altruistica, ad un sorprendente caso di rinuncia a sé.
Permettetemi di formulare la cosa in questo modo: la «dignità», in un maggiordomo, ha a che fare, fondamentalmente, con la capacità di non abbandonare il professionista nel quale si incarna.
E ancora:
- In che cosa credete che consista, voi, la dignità?
L'immediatezza della domanda, devo ammetterlo, mi colse alquanto di sorpresa. - Si tratta di una cosa piuttosto ardua da spiegare in poche parole, signore, - risposi. - Ma ho il sospetto che sostanzialmente consista nel non togliersi i panni di dosso in pubblico.
E forse per questo motivo che le scuciture che si aprono piano nell'esistenza di Stevens si manifestano in solitudine, in una rara occasione di dedizione a se stessi, dopo anni su anni su anni di dedizione al suo ruolo a Darlington Hall.

La scrittura di Kazuo Ishiguro che si fa la scrittura di Stevens, voce narrante che parla al lettore, è elegante e formale, rigorosa e inappuntabile come il lavoro svolto dal maggiordomo, ha una pulizia nipponica e una signorilità british inconfondibile.

Quel che resta del giorno è un romanzo calmo, riflessivo, ammantato di eleganza e di garbo, eppure anche potente, destabilizzante, perché nello status di maggiordomo d'eccellenza di Stevens, si avverte il senso di una vita sacrificata, di sentimenti soffocati, di reazioni abortite e un filo di doloroso pentimento che commuove senza però condurre allo strazio.

Un breve indugio empatico nei suoi rimpianti, e nel rapporto con Miss Kenton in particolare, un lampo di mestizia, e poi ci si ricompone e si va avanti, dignitosi e sereni.
E forse allora vi è del buono nel consiglio secondo il quale io dovrei smettere di ripensare tanto al passato, dovrei assumere un punto di vista più positivo e cercare di trarre il meglio da quel che rimane della mia giornata. Dopotutto che cosa mai c'è da guadagnare nel guardarsi continuamente alle spalle e a prendercela con noi stessi se le nostre vite non sono state proprio quelle che avremmo desiderato?
Quanta saggezza.

Un'opera per me preziosissima, un libro del cuore.

(Ed è gravissimo, terrificante, il fatto che dal 1993, anno in cui è uscito, ad oggi, non abbia ancora visto il film omonimo di James Ivory. Mi chiedo come sia possibile. Cosa ho fatto in tutti questi anni? Devo rimediare seduta stante).

Commenti

  1. Quella di Ishiguro è una lettura che non ho mai affrontato, anche se mi interessa maggiormente "non lasciarmi"

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    1. A me questo è piaciuto infinitamente di più di Non lasciarmi, che mi era parso freddissimo nello stile e nel contenuto!

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    2. Vorrà dire che dovrò leggere entrambi per poter dire la mia :)

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