(Mini)Serie tv mon amour: 32. Olive Kitteridge


Frances McDormand, Richard Jenkins, Bill Murray: basta questa trinità di mostri sacri (più il logo HBO) come garanzia dell'eccellenza di questa miniserie.
Tuttavia aggiungerò due parole perché le cose belle vanno celebrate e condivise.

Olive Kitteridge è una di quelle serie fatte di poco o niente, di molta stasi atmosferica e poca azione, che riescono a commuoverti a livelli molto profondi. Qualcosa che ha a che fare con la poesia, un tipo di poesia malinconica e scabra.

Ho pensato spesso a Stoner mentre la vedevo, non per somiglianza di trama, ma per la stessa capacità di creare bellissime suggestioni con il minimalismo, con cose, gesti e parole di piccola portata, con la banalità della quotidianità e per la capacità di parlare della vita semplicemente mostrandola, nella sua essenzialità, nella sua natura normalmente antiromanzesca.

Sullo sfondo di un Maine dalle tinte oceaniche e floreali, in una cittadina sonnacchiosa di nome Crosby che fa pensare alla Cabot Cove di Jessica Fletcher, si svolge la vita di Olive Kitteridge (le cui fasi sono scandite dalla suddivisione della serie in quattro parti) e le altre vite di cui lei è direttamente o indirettamente partecipe.

Olive, insegnante temutissima di matematica in pensione, è una donna insostenibile: fredda, scorbutica, indelicata, priva di ogni inclinazione al sorriso e alla cordialità.
Vittime della sua natura sgarbata e quasi bestiale sono il marito Henry e il figlio Christopher.
Il primo, interpretato da un immenso Richard Jenkins, la ama di un amore incrollabile e fedelissimo ed è un uomo di una bontà remissiva e quasi biblica (e qui il mio pensiero ritorna a Stoner), un martire romantico che commuove ferocemente dall'inizio alla fine della storia.
Il secondo non può che vivere freudianamente in conflitto con la figura materna e andare lontano, via dal Maine e da lei.

Eppure in questa donna scarmigliata e mascolina, in questa rude e scortese signora che sembra amare solo i suoi tulipani, c'è una sensibilità umanissima e una capacità di empatia dai risultati salvifici.
Olive ama in maniera aggressiva, interiore, ma ama e lo fa sinceramente.
Lo fa al punto da allontanare giovani dalla tentazione di farla finita, da spronare donne alla deriva a riprendere in mano la propria esistenza, da salvare o tentare di salvare esistenze.

La depressione e il suicidio sono i due grandi mostri silenti che strisciano dentro la storia e si annidano dentro ogni vicenda, come fossero mali insiti nella geografia del posto e quasi inevitabili.
"Salvaci dai fucili e dal suicidio dei padri...", si dice ad un certo punto della serie, un verso lapidario e agghiacciante che riguarda Olive in prima persona e che riguarda tutti.

In questo scenario addolorato, problematico e malato di provincialismo, Olive è una sorta di faro che dall'alto della sua apparente insensibilità ed effettiva maleducazione, illumina e rimette nella giusta prospettiva le cose, senza giri di parole o retorica sentimentale, dritta al punto, ruvida e netta come sempre.
Per quanto la vita possa a tratti far schifo, bisogna accettarla e non averne paura, è questo che Olive trasmette bruscamente.
Olive diventa così miracolosamente amabile agli occhi dello spettatore, perché c'è in lei una forza vitale, un'indipendenza e una incitazione al coraggio, che sebbene brutali e privi di ogni forma di delicatezza, risultano di una bellezza enorme, struggente.

Frances McDormand supera se stessa con questa interpretazione e anche se non ha vinto il Golden Globe ha comunque vinto.

Lisa Cholodenko, che mi aveva già conquistata con I ragazzi stanno bene, con Olive Kitteridge raggiunge livelli registici autoriali altissimi, riesce a far comunicare il Maine, a evocare con l'essenzialità, a toccare corde sensibili del nostro cuore senza farlo traboccare mai.

Cito anche Zoe Kazan tra le cose belle di questa serie, perché la adoro e perché nel suo ruolo da commessa (nella farmacia di Henry) stupidina e ingenua, occhialuta e sfortunata è una perla.

Il libro di Elizabeth Strout (di cui vi parlerò in un altro post) da cui è tratta la miniserie è piuttosto diverso, ha una struttura particolare, un respiro più corale e una quantità di personaggi e microstorie maggiore, mentre la sua versione televisiva è un concentrato, una versione ristretta e focalizzata su pochi punti, molto più Olivecentrica.
Nonostante le differenze, l'anima del romanzo è però perfettamente esaltata dalla messa in scena cinematografica televisiva e forse perfino migliorata.
Dinamica rara che avviene solo in presenza di capolavori e difatti, per quel che mi riguarda, la miniserie Olive Kitteridge è un capolavoro.


Commenti

  1. Ho trovato la mini-serie spettacolare! E adorato Richard Jenkins nei panni di Henry forse più di tutti gli altri personaggi.
    Concordo con te, il libro è diverso, ma la serie riesce comunque a trasmetterne l'anima.

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    1. Henry è un personaggio di una tenerezza e di una bonarietà troppo commoventi e Richard Jenkins è davvero eccezionale!

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  2. Tu dici che se guardo prima la serie mi pregiudico la lettura?

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    1. No, io ho fatto così e ho vissuto le due esperienze come due cose diverse. Ovviamente saprai delle cose prima di leggerle ma nulla che non ti possa far apprezzare comunque la lettura 😉

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  3. Mi sembra una storia dalle sfumature malinconiche, poi se ti ha ricordato Stoner... la recupero! ;-)

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    1. Molto malinconiche... Stoner è una suggestione che mi è venuta, in particolare per il ruolo di Richard Jenkins ma può darsi che sia una cosa solo mia! Io pensi che potresti amarla questa serie...

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