I Love Books: 46. Nanà



Da tempo corteggiavo questo romanzo di Zola, poi ho letto Il petalo cremisi e il bianco ed è stata pura passione, allora mi sono detta "anche in Nanà la protagonista è una prostituta, magari trovo un po' della mia adorata Sugar fra le pagine parigine di quest'opera!".
Lo sconto del 25% sugli Oscar Mondadori ha fatto il resto.

Dico subito che mi è piaciuto solo parzialmente e che ho avvertito spesso l'alone deludente di "opera minore". Non ho  letto i grandi capolavori di Zola come Thérèse Raquin o Germinale, per cui non ho termini di paragone, ma nonostante ciò ho avuto la percezione chiara che Nanà non sia stato propriamente il momento di maggior grazia dello scrittore francese.

E' un'opera dal taglio molto teatrale e vivace, il dialogo incalzante e la frenesia del discorso diretto prevalgono sull'aspetto descrittivo e intimamente narrativo, la superficie scenica ha la meglio sulla profondità romanzesca.
Zola, com'è tipico della corrente letteraria del Naturalismo, si limita a osservare e presentare un mondo senza aggiungere nulla, come fosse una ripresa live.
Il risultato di questa scelta è, soprattutto nei primi capitoli, quello di una grande confusione, di un accumulo scomposto e caotico di personaggi, o meglio di comparse, di cui non sappiamo nulla e che riempiono le pagine di chiacchiere sovrapposte e di traffico snervante.
Sembra di stare a teatro e in effetti l'incipit in medias res è collocato proprio a teatro, un tipo di teatro salace che mi ha fatto pensare più ad una commedia di Plauto che alla Parigi di fine Ottocento.

Le parti migliori per me sono state quelle meno corali e più focalizzate sul personaggio di Nanà, una figura di donna libertina e godereccia che mi ha fatto venire in mente la Marie Antoinette di Sofia Coppola sprofondata nel lusso più kitsch, un'arrampicatrice sociale mangia-uomini, una prostituta di alto livello, quella che all'epoca si definiva cocotte, in grado di dare l'estasi e di distruggere i suoi amanti.
Ci si diverte a seguire le trovate di questa donna bellissima e sfacciata e ci si fa beffe insieme a lei di quegli uomini, primo fra tutti il conte Muffat, che si mettono in ridicolo pur di averla, goffi fantocci instupiditi dalla lussuria.

Il pregio più grande di Nanà è a mio avviso l'audacia, la forza scandalosa che, se si pensa all'epoca in cui è stato scritto (uscì nel 1880), risulta ancora più coraggiosa ed osè. Zola usa un linguaggio esplicito senza alcun tipo di inibizione autocensoria, non teme di dire certe cose e di mettere letteralmente a nudo certi tabù.
Attraverso Nanà, ma soprattutto attraverso gli uomini che ronzano ossessivamente intorno a Nanà, mostra tutto il marcio e il degenerato della Francia del Secondo Impero di Napoleone III, una società decadente e involgarita, che ha perso classe e si è lasciata andare al vizio.
Da questo punto di vista è un romanzo molto forte, ricco di chiavi di lettura e spunti di riflessione, primo fra tutti quello universale sul potere distruttivo del desiderio sessuale maschile.

Per il resto e per quel che riguarda lo stile, non mi ha fatto impazzire, l'ho letto con rapimento alternato, ho trovato maldestri certi capitoli e ne ho amati altri; mi ha fatto compagnia per una settimana, ma Nanà non è riuscita a trovare un posto considerevole nel mio universo personale di eroine letterarie.

Commenti

  1. Lo lessi l'anno scorso e mi piacque: amo lo stile naturalista e questo non ha fatto eccezione. Ma ammetto che del ciclo dei Rougon–Macquart ho preferito L'ammazzatoio che racconta le vicende antecedenti a quelle di Nanà: quello l'ho amato!

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    1. Fra i naturalisti io preferisco senza dubbio Flaubert! Con Zola è ancora presto per dire se sia scattata o meno la scintilla dell'attrazione letteraria, ma con Nanà la partenza non è stata proprio folgorante. Proverò a leggere qualcos'altro di suo...

      ps: ti adoro per il fatto che hai citato il ciclo dei Rougon-Macquart :)

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    2. Ah, ah, ed io adoro le tue recensioni! Avevo la mira di leggerlo tutto il ciclo, ma non ho ancora portato a compimento l'opera!
      Io preferisco Zolà a Flaubert, non mi ha proprio mai lasciato di stucco il buon Gustave!

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