La Donna della Domenica (in ritardo): 3. Julianne Moore
photo © 2009 nicolas genin | more info (via: Wylio)
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photo © 2009 Courtney | more info (via: Wylio)
Rossa come il Natale, pallida come la neve, elegante come le feste, algida e frizzante come lo spumante, la Donna Della Domenica (oggi posticipata al lunedì!) è Julianne Moore, una delle mie attrici preferite, una diva che si adatta, secondo me, allo spirito festivo e ai colori di questi giorni.
La immagino aggirarsi per feste sobrie e raffinate con addosso un vestito di gran classe e la sua chioma infuocata e vaporosa come accessorio di seduzione. La vedo sorridere timida e aggraziata a tutti gli uomini che la circondano e la cercano con lo sguardo. La vedo ballare un po' ubriaca ma mai scomposta con un trucco anni '60 e tanti gioielli d'oro, la seguo dopo i party struccata e invecchiata ma sempre bellissima con una maglia da notte addosso, la vedo nervosa, inquieta turbata o con gli occhi chiusi e appassionati...Sono tutte immagini sovrapposte dei film che ho visto con lei come attrice, tutti film che guarda caso ho amato intensamente.
Non la dimenticherò mai nello stupendo Magnolia (2000, di Paul Thomas Anderson), moglie giovane e devota di un uomo anziano in punto di morte, straziata e straziante nella sua interpretazione.
Nè potrò dimenticarla mai in Far From Heaven-Lontano dal paradiso (2002, di Todd Haynes), casalinga, madre, moglie degli anni '50, docile, morbida, sempre ben vestita e ordinata come una bambola di porcellana, intoccabile e delicatissima creatura che verrà travolta da una passione extra-coniugale, melodrammatica e commovente come solo lei sa essere (non a caso vincerà come miglior attrice al Festival di Venezia dello stesso anno).
Come dimenticarsi di lei in The Hours (2002, di Stephen Daldry)? Bravissima, quasi ai picchi della perfezione attoriale assoluta, nel rendere la malinconia e la frustrazione del personaggio di Laura, nel muoversi in un universo femminile woolfiano e problematico, nel vivere un lesbismo represso e depresso, complesso e logorante...
L'ho amata/odiata nel ruolo conturbante e malsano che riveste in Savage Grace (2007, di Tom Kalin), film poco conosciuto in cui la splendida cinquantenne interpreta una madre ossessiva, instabile, capricciosa e bambina più di quanto non lo sia il figlio, in un crescendo di attrazioni equivoche e seduzioni proibite ed incestuose. Ancora una volta si rimane incantati dalle movenze, dalla gestualità, dagli sguardi di Julianne, dalla sua perversione, dai suoi esaurimenti nervosi e dalle sue moine seduttive.
L'ho adorata e trovata stilosissima in A Single Man (2009, di Tom Ford), dove interpreta il ruolo della cara vecchia amica del protagonista gay, una donna ancora bellissima eppure sola e triste, ancorata nostalgicamente a ricordi e sentimenti ormai svaniti. Con i capelli gonfi e raccolti, gli occhi bistrati di nero in pieno stile anni '60, la solita eleganza nel vestire e nell'incedere, Julianne si imprime nella mente come il poster di una diva senza tempo.
Infine il recente Chloe (2010, di Atom Egoyan), dove la rossa più brava che ci sia interpreta con estrema capacità seduttiva una moglie gelosa e sospettosa del marito, che si ritroverà coinvolta in un gioco di seduzione e inganno più grande di lei. Anche qui, nonostante la bellezza dell'attrice che l'affianca (una al confronto sciatta, Amanda Seyfried) Julianne riesce ad essere sexy e conturbante, femmina e donna nel senso epidermico del termine. Memorabili certi baci lesbo-chic e certe tensioni di corpi, occhi, mani.
Persino in Hannibal o in film minori e misconosciuti come The Private Lives of Pippa Lee ho vibrato all'apparizione di Julianne e al palesarsi delle sue efelidi e della sua aura attoriale sacra.
Tutti i film in cui c'è lei, protagonista o meno, di qualità (di solito sempre!) o meno, sono da vedere, e anche quelli che non lo sono riescono ad attrarmi e ad intrappolarmi alla visione solo e soltanto in funzione di lei e per lei.
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Rossa come il Natale, pallida come la neve, elegante come le feste, algida e frizzante come lo spumante, la Donna Della Domenica (oggi posticipata al lunedì!) è Julianne Moore, una delle mie attrici preferite, una diva che si adatta, secondo me, allo spirito festivo e ai colori di questi giorni.
La immagino aggirarsi per feste sobrie e raffinate con addosso un vestito di gran classe e la sua chioma infuocata e vaporosa come accessorio di seduzione. La vedo sorridere timida e aggraziata a tutti gli uomini che la circondano e la cercano con lo sguardo. La vedo ballare un po' ubriaca ma mai scomposta con un trucco anni '60 e tanti gioielli d'oro, la seguo dopo i party struccata e invecchiata ma sempre bellissima con una maglia da notte addosso, la vedo nervosa, inquieta turbata o con gli occhi chiusi e appassionati...Sono tutte immagini sovrapposte dei film che ho visto con lei come attrice, tutti film che guarda caso ho amato intensamente.
Non la dimenticherò mai nello stupendo Magnolia (2000, di Paul Thomas Anderson), moglie giovane e devota di un uomo anziano in punto di morte, straziata e straziante nella sua interpretazione.
Nè potrò dimenticarla mai in Far From Heaven-Lontano dal paradiso (2002, di Todd Haynes), casalinga, madre, moglie degli anni '50, docile, morbida, sempre ben vestita e ordinata come una bambola di porcellana, intoccabile e delicatissima creatura che verrà travolta da una passione extra-coniugale, melodrammatica e commovente come solo lei sa essere (non a caso vincerà come miglior attrice al Festival di Venezia dello stesso anno).
Come dimenticarsi di lei in The Hours (2002, di Stephen Daldry)? Bravissima, quasi ai picchi della perfezione attoriale assoluta, nel rendere la malinconia e la frustrazione del personaggio di Laura, nel muoversi in un universo femminile woolfiano e problematico, nel vivere un lesbismo represso e depresso, complesso e logorante...
L'ho amata/odiata nel ruolo conturbante e malsano che riveste in Savage Grace (2007, di Tom Kalin), film poco conosciuto in cui la splendida cinquantenne interpreta una madre ossessiva, instabile, capricciosa e bambina più di quanto non lo sia il figlio, in un crescendo di attrazioni equivoche e seduzioni proibite ed incestuose. Ancora una volta si rimane incantati dalle movenze, dalla gestualità, dagli sguardi di Julianne, dalla sua perversione, dai suoi esaurimenti nervosi e dalle sue moine seduttive.
L'ho adorata e trovata stilosissima in A Single Man (2009, di Tom Ford), dove interpreta il ruolo della cara vecchia amica del protagonista gay, una donna ancora bellissima eppure sola e triste, ancorata nostalgicamente a ricordi e sentimenti ormai svaniti. Con i capelli gonfi e raccolti, gli occhi bistrati di nero in pieno stile anni '60, la solita eleganza nel vestire e nell'incedere, Julianne si imprime nella mente come il poster di una diva senza tempo.
Infine il recente Chloe (2010, di Atom Egoyan), dove la rossa più brava che ci sia interpreta con estrema capacità seduttiva una moglie gelosa e sospettosa del marito, che si ritroverà coinvolta in un gioco di seduzione e inganno più grande di lei. Anche qui, nonostante la bellezza dell'attrice che l'affianca (una al confronto sciatta, Amanda Seyfried) Julianne riesce ad essere sexy e conturbante, femmina e donna nel senso epidermico del termine. Memorabili certi baci lesbo-chic e certe tensioni di corpi, occhi, mani.
Persino in Hannibal o in film minori e misconosciuti come The Private Lives of Pippa Lee ho vibrato all'apparizione di Julianne e al palesarsi delle sue efelidi e della sua aura attoriale sacra.
Tutti i film in cui c'è lei, protagonista o meno, di qualità (di solito sempre!) o meno, sono da vedere, e anche quelli che non lo sono riescono ad attrarmi e ad intrappolarmi alla visione solo e soltanto in funzione di lei e per lei.
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