I Love Books: 128. I Buddenbrook
Potente, funesta, simbolica come un tragedia greca, questa saga familiare è una delle cose più belle mai lette, una storia di ascesa e caduta, di essenza borghese e di psicologie complesse.
I Buddenbrook di Thomas Mann si ergono fieri e solidi e sono sempre in bilico fra l'Olimpo e gli Inferi, tra l'oro e la cenere, in lento, ineluttabile, silente declino.
Sono a più dimensioni, a più livelli, plastici, vividi, fisicamente tangibili.
L'impatto con le pagine è un'onda d'urto senza fine per chi legge: letteratura-epifania, per me è stato così.
Più di 700 pagine di cene esibite con classe, di affari economico-sentimentali, di morti, di nascite, di matrimoni, di separazioni, di malattie, di guadagni e perdite.
La devozione al lavoro della più autentica borghesia mercantile anseatica, le conseguenze di tale disciplina.
Le alterne vicende di quattro generazioni ancorate a valori solidi e via via sempre più disancorati.
Dal 1835 al 1877, dal culmine alla decadenza finale.
Tutto parte all'insegna di un ferreo assetto imprenditoriale, lo avverti nettamente che i Buddenbrook di Lubecca sono ben piazzati e solidamente ricchi, ma man mano che le pagine scorrono si insinuano mali dello spirito, debolezze emotive, propensioni rovinose.
Come denti (da cui Mann sembra ossessionato!) i Buddenbrook perodono smalto, si guastano, e cadono.
Assisti con attenzione vorace a tale spettacolo tragico e mentre leggi, rifletti sulla portata universale di questa parabola, sul fatto che siamo fragili e vittime delle beffe dell'assurdo, della vita e della sua variabilità d'umore.
I personaggi di questa saga mi sono rimasti fissi in testa, un po' come mi accadde tempo fa con I fratelli Karamazov. Incisioni umane dentro la mia mente.
Tony Buddenbrook è eroina della tenacia e della resurrezione della dignità dopo il fallimento, una fervente Buddenbrook, fiera e indomita portatrice dei suoi geni.
Perché in conclusione ho amato quest'opera?
- Perché è un'analisi con la lente d'ingrandimento, elaborata nei dettagli, realista, ma anche creativa di un preciso modello sociale.
- Perché la resa dell'interiorità dei personaggi è straordinariamente trasparente e profonda, è uno scavo accurato e commovente sulla mente e le sue propagazioni somatiche.
- Perché le narrazioni di famiglie, con tutto l'albero genealogico di genetica, vita quotidiana e prospettiva storica, con le zoomate su ogni singolo ramo, mi riempiono sempre di solennità.
- Perché è attraversata fin dalla prima pagina da tensioni attanaglianti e nuvole minacciose, da affondi del destino e dal dominio dell'imponderabile. Atterrisce e affascina per questo.
- Perché la storia della famiglia Buddenbrook è la storia universale di ogni dissoluzione e della caducità dell'esistenza, anche di quella più intrisa di agi e onori, specialmente di quella.
- Perché ha un'inclinazione filosofica (c'è un riferimento preciso a Schopenhauer) e malinconica, una costante tendenza alla riflessione sulla vita e le sue aggressioni.
- Perché la scrittura di Mann è piena, ricca e particolareggiata, tra osservazione e immersione, padrona assoluta di ciò che narra, di come lo narra e delle emozioni che crea.
Dovremmo leggere tutti I Buddenbrook.
Fatelo se non l'avete ancora fatto. Andate a Lubecca per un po', respirate area borghese, entrate nella grande casa della Mengstraße, spiate, immergetevi, capite, pensate.
Ne uscirete provati e colmi di sensazioni.
Sarà forte, sarà una catarsi.
I Buddenbrook di Thomas Mann si ergono fieri e solidi e sono sempre in bilico fra l'Olimpo e gli Inferi, tra l'oro e la cenere, in lento, ineluttabile, silente declino.
Sono a più dimensioni, a più livelli, plastici, vividi, fisicamente tangibili.
L'impatto con le pagine è un'onda d'urto senza fine per chi legge: letteratura-epifania, per me è stato così.
Più di 700 pagine di cene esibite con classe, di affari economico-sentimentali, di morti, di nascite, di matrimoni, di separazioni, di malattie, di guadagni e perdite.
La devozione al lavoro della più autentica borghesia mercantile anseatica, le conseguenze di tale disciplina.
Le alterne vicende di quattro generazioni ancorate a valori solidi e via via sempre più disancorati.
Dal 1835 al 1877, dal culmine alla decadenza finale.
Tutto parte all'insegna di un ferreo assetto imprenditoriale, lo avverti nettamente che i Buddenbrook di Lubecca sono ben piazzati e solidamente ricchi, ma man mano che le pagine scorrono si insinuano mali dello spirito, debolezze emotive, propensioni rovinose.
Come denti (da cui Mann sembra ossessionato!) i Buddenbrook perodono smalto, si guastano, e cadono.
Assisti con attenzione vorace a tale spettacolo tragico e mentre leggi, rifletti sulla portata universale di questa parabola, sul fatto che siamo fragili e vittime delle beffe dell'assurdo, della vita e della sua variabilità d'umore.
I personaggi di questa saga mi sono rimasti fissi in testa, un po' come mi accadde tempo fa con I fratelli Karamazov. Incisioni umane dentro la mia mente.
Tony Buddenbrook è eroina della tenacia e della resurrezione della dignità dopo il fallimento, una fervente Buddenbrook, fiera e indomita portatrice dei suoi geni.
Il suo spiccato senso della famiglia le rendeva arcani i concetti di autodeterminazione e libero arbitrio, e questo faceva sì che constatasse e riconoscesse con una imperturbabilità quasi fatalistica le peculiarità del suo carattere... senza fare distinzioni e senza tentare di correggerle. Pur non rendendosene conto, era convinta che ogni peculiarità del carattere, non importa di quale natura, facesse parte dell'eredità, fosse una tradizione di famiglia e di conseguenza una cosa da venerare, a cui portare in ogni caso rispetto.Eppure anche lei dovrà constatare la ferocia del fato e lo farà con disperazione.
La vita, sapete, spezza tante cose dentro di noi, distrugge tante certezze...Thomas, che incarna i valori dei Buddenbrook fino allo spasimo, che fa sua la "vita dura e pratica" dei suoi padri, il loro imperturbabile equilibrio, e poi piano piano cede al dubbio, al senso di vuoto e allo stesso tempo inizia a pensare a quel qualcos'altro di ineffabile che c'è oltre la vita imprenditoriale. Lui, il senatore Buddenbrook, proprio lui verso la fine sembra percepire la vacuità di ogni conquista materiale.
Ho l'impressione che qualcosa cominci a sfuggirmi, mi sembra di non riuscire più a tenere saldamente in mano come una volta questa cosa indistinta... Che cos'è il successo? Una forza segreta, indescrivibile, una sagacia, una prontezza... la coscienza di poter imprimere una spinta alla vita che si muove intorno a me grazia alla mia sola presenza... La fiducia di poter piegare la vita a mio favore... fortuna e successo sono dentro di noi. Dobbiamo trattenerli con fermezza, nel profondo. Non appena qui dentro qualcosa comincia a cedere, ad allentarsi, a fiaccarsi, subito tutto si affranca intorno a noi, recalcitra, si ribella, si sottrae al nostro influsso... Poi arriva un colpo dopo l'altro, a una sconfitta segue una sconfitta e si è finiti.Christian, disturbi psicosomatici a iosa, propensione al lavoro nulla, la sua è una figura di outsider dentro il rigore familiare ed è forse tra le più umane del romanzo. Perché cede ai piaceri frivoli, perché teme e soffre, perché ha l'ansia, perché non sa e non può consacrare se stesso alla ditta come il fratello maggiore.
Lavora! E se non posso? E se alla lunga non posso, Dio del cielo?! Non posso fare la stessa cosa per molto tempo, mi distrugge! Se tu sei stato e ne sei capace, buon per te, ma non ergerti a giudice, perché non è un merito... Dio dà la forza all'uno e non all'altro... Ma tu sei fatto così Thomas.Hanno, il piccolo figlio del senatore, che è già emblema della "deformazione" rispetto alla linea guida familiare, con il suo amore per la musica, il mare, la sua mollezza d'animo e la sua delicatissima costituzione, è l'inizio della fine, è la personalità artistica che non può servire alla causa commerciale anseatica, alla praticità bruddenbrookiana.
E al pensiero che ci si aspettasse anche da lui, in futuro, che partecipasse a riunioni pubbliche e parlasse e agisse sotto il peso degli sguardi di tutti, Hanno chiudeva gli occhi con un brivido di angosciosa avversione...E poi tutti gli altri, chi più chi meno memorabile, ma tutti tridimensionali.
Perché in conclusione ho amato quest'opera?
- Perché è un'analisi con la lente d'ingrandimento, elaborata nei dettagli, realista, ma anche creativa di un preciso modello sociale.
- Perché la resa dell'interiorità dei personaggi è straordinariamente trasparente e profonda, è uno scavo accurato e commovente sulla mente e le sue propagazioni somatiche.
- Perché le narrazioni di famiglie, con tutto l'albero genealogico di genetica, vita quotidiana e prospettiva storica, con le zoomate su ogni singolo ramo, mi riempiono sempre di solennità.
- Perché è attraversata fin dalla prima pagina da tensioni attanaglianti e nuvole minacciose, da affondi del destino e dal dominio dell'imponderabile. Atterrisce e affascina per questo.
- Perché la storia della famiglia Buddenbrook è la storia universale di ogni dissoluzione e della caducità dell'esistenza, anche di quella più intrisa di agi e onori, specialmente di quella.
- Perché ha un'inclinazione filosofica (c'è un riferimento preciso a Schopenhauer) e malinconica, una costante tendenza alla riflessione sulla vita e le sue aggressioni.
- Perché la scrittura di Mann è piena, ricca e particolareggiata, tra osservazione e immersione, padrona assoluta di ciò che narra, di come lo narra e delle emozioni che crea.
Dovremmo leggere tutti I Buddenbrook.
Fatelo se non l'avete ancora fatto. Andate a Lubecca per un po', respirate area borghese, entrate nella grande casa della Mengstraße, spiate, immergetevi, capite, pensate.
Ne uscirete provati e colmi di sensazioni.
Sarà forte, sarà una catarsi.
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