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Visualizzazione dei post da febbraio, 2016

Il mio parere su Il caso Spotlight

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Il caso Spotlight ( Spotlight , di Thomas McCarthy , 2015) sarà pure il miglior film dell'anno a furor di popolo e critica, sarà pure il favorito agli Oscar, ma io me ne tiro fuori e vi spiego perché non mi ha entusiasmato. Storia vera, quella dell'inchiesta che un team di giornalisti investigativi (denominato "spotlight") del Boston Globe fece nel 2001 ai danni della Chiesa Cattolica. L'accusa quella di aver coperto più di 70 preti pedofili e insabbiato prove a riguardo. Scandalo e gravità immane, bel oltre la città di Boston e le singole diocesi. Il film risente ovviamente di questa serissima verità ed è pertanto freddo e distaccato, non giudicante, giornalisticamente frenato. Forse perché quello che viene fuori da questa vicenda è di per sé enorme e mostruoso, il film ha voluto puntare sulla sobrietà emotiva, sul minimalismo del coinvolgimento. C'è un'indagine accuratissima e il film la segue, senza prendere posizioni. Da questo punto di v

Il mio parere su The Danish Girl

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Chiedete a chi era seduto al mio fianco in sala e vi dirà delle mie lacrime silenti in varie fasi del film e poi ancora di quelle copiose, esplose sul finale. Nessun controllo sulla mia intelligenza emotiva, un fluire di commozione perfetta. Sono uscita dalla sala addolorata (e con l'eyeliner strisciato su tutta la faccia) eppure colma di bellezza. Quanto The Danish Girl (di Tom Hooper , 2015) mi abbia emozionato fin nella parte più remota della mia sensibilità, lo avete già capito. Mi ha donato un innamoramento, un'ammirazione, un gradimento a più livelli che non mi aspettavo. Pensavo di essere più cinica, di dover detestare i manierismi e le leziosità pittoriche di cui il film è colmo, invece ho apprezzato anche le più affettate espressioni sul volto del protagonista, perché c'è una dolcezza in lui-lei che inonda, che annienta ogni difesa. La storia vera di Einar Wegener , pittore danese degli anni '20, del suo grande amore Gerda , anche lei pittrice, del

Il mio parere su L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo -

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L'ultima parola - La vera storia di Dalton   Trumbo (tit.orig.:  Trumbo , di Jay Roach , 2015) è la storia di un combattimento a suon di tasti battuti sulla macchina da scrivere contro l'imposizione di un silenzio, di quella volta in cui il maccartismo pensò di spuntarla con la sua ottusa azione repressiva e invece venne grandiosamente gabbato. Le vie traverse della creatività letteraria in una fase storica di paranoie e limitazioni ridicole. Cose belle, insomma. Dalton Trumbo scriveva sceneggiature brillanti, cose importanti per il cinema che contava, ma aveva il "problema" di essere comunista, almeno ideologicamente, e allora la sensibilissima America, irrigidita e resa psicotica dalla guerra fredda, pensò bene di mettergli i bastoni fra le ruote, di bloccare l'andamento sciolto della sua inventiva e di metterla a tacere perché antiamericana. La blacklist era lì pronta a fagocitarlo per sempre. Secondo voi, uno come Trumbo , mattatore della macchin

I Love Books: 113. Viaggio al termine della notte

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Un moto di ribrezzo al primissimo impatto: la grammatica è fatta a pezzi, la sintassi è anarchica, il periodo segue ritmi tutti suoi, la prosa è sporca, malsana, farneticante. Oddio, basta, basta Louis-Ferdinand , abbi pietà di me. All'inizio ho vissuto questa lettura come uno stupro, e non mi sento esagerata nel dirlo. E invece poi... Invece mi sono pian piano abituata allo stile singolare di Céline , ai suoi deliri autocratici, a quella sporca vicinanza al parlato che non sembra nemmeno letteratura, ma una molesta ubriachezza linguistica, e ho scoperto della meravigliosa poesia, dei panorami di quiete lirica. Fiori nel letame, perle in mezzo allo schifo. Perché Céline mentre ti parla in toni sferzanti come schiaffi sonori di guerra, di malattia, di morte, di peso immane dell'esistenza, mentre ti infetta con la sua turpitudine narrativa e stilistica, ti dona riflessioni di un lirismo perfetto, di quelle che fanno tremare per verità e bellezza. La Vita che s

Serie tv mon amour: 36. Jessica Jones

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Dark, newyorkese, introspettiva, ironica, malinconica, supereroistica con molta moderazione, intrisa di atmosfere noir e tensioni psicologiche, Jessica Jones è stata una scoperta molto gradita. Non pensavo che questa serie tv Netflix mi appassionasse tanto, l'avevo immaginata postadolescenziale (è stata ideata da Melissa Rosenberg , sceneggiatrice di Twilight ) e incentrata sul classico supereroismo fumettistico alla Marvel e invece è una cosa avvincente e originale. Krysten Ritter , pallida creatura dai capelli corvini che sembra uscita dalla mente di Tim Burton, Biancaneve gotica con chiodo di pelle e biker boots, nasino all'insù alla Michael Jackson (!), merita già di per sé la visione, perché è anomala e di grande impatto visivo e perché è riuscita a dare un'anima rock e molto accurata alla figura potente e fragile della sua (anti)eroina. Una gran femmina questa Jessica Jones , così solitaria e indipendente, una guerriera notturna con uno degli appartamenti

Il mio parere su Joy

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Pollice verso (e anche un po' di buuuu) per questo film che è ha la stessa capacità di coinvolgimento emotivo di un mocio, non a caso, e un Jenniferlawrence-centrismo insopportabile (come prevedevo). David O. Russell mi   ha un po' stancato con i suoi gruppi di famiglia in un interno disfunzionali e polifonici. Già ai tempi de   Il lato positivo  avevo fatto caso più ai lati negativi del suo stile (per poi ricredermi qualche ora con  American Hustle ), ma adesso ho la certezza che non piace. La formula che predilige mi prende poco. Non basta mettere in scena equilibri precari e sistemi di vita sghangherati osservati con piglio ironico e bonomia americana per far buona compagnia allo spettatore. Manca qualcosa, forse un approfondimento. Aggiungo e sottolineo  che ho in grande odio Jennifer Lawrence , il grande errore di valutazione di Hollywood, la diva-ragazza dal faccione americanissimo e la classe di una cheerleader, che tutto il pianeta terra ha scambiato per un

I Love Books: 112. Senza nome

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Ho sempre amato Dickens e forse avrei dovuto scoprire prima che amici dotati avesse. Tipo Wilkie Collins , entità narrativa da me sconosciuta prima della rivelazione da parte dell'illuminante Fazi editore (ancora una volta, grazie!). Collins è considerato il padre del genere poliziesco ed era molto popolare in epoca vittoriana; qualcosa avrà offuscato la sua fama, il vento ballerino delle mode probabilmente, ma la riscoperta è fondamentale e dà molta euforia. Ho letto con grande trasporto questo romanzone logorroico e iperdescrittivo, gonfissimo di eventi e di sospensioni. Ho scoperto un autore, ma anche un genere inedito: letteratura vittoriana spigliata e creativa, eccezionalmente intrigante. Il legal-drama in vesti ottocentesce. L'intrigo è onnipresente in Senza nome , è un motore sempre acceso e orientato all'intrattenimento di chi legge. Non c'è da temere il colpo di sonno e la noia del démodé. Senza nome è la storia delle sfortunate sorelle Vansto