I Love Books: 93. La signora Armitage
Le nevrosi femminili sono sempre materiale narrativo interessante, almeno per me.
Mi piace sedermi idealmente sui divani da psicoanalisi, accanto a queste donne letterarie fumantine e ascoltarne i deliri condivisibili e gli stati d'animo cangianti.
Nella loro inquietudine ritrovo spesso una parte di me, ma anche un discorso universale sull'essere donna che, al di là di epoche e contesti diversi, ha dei punti fissi arcaici ed eternamente validi.
L'essere moglie, l'essere madre: c'è forse qualcosa di più semplice eppure complesso di questo? C'è forse una condizione più ampiamente narrabile eppure inenarrabile di questa?
Siamo spunti letterari viventi secolari, siamo racconti mai facili che è necessario mettere per iscritto, siamo creature delicatissime con flussi di coscienza ininterrotti e dosi di autoironia insospettabili.
Penelope Mortimer (che ho scoperto grazie all'adorata Minimum Fax, dispensatrice indefessa di delizie editoriali e di bellissime copertine) mi è sembrata una Mary McCarthy in versione inglese, forse meno sofisticata e più disperata, ma con la stessa tagliente capacità di sondarsi dal profondo e di sondare indirettamente la lettrice, facendola un po' anche sorridere di se stessa.
Ne La Signora Armitage (titolo originale The Pumpkin Eater, pubblicato nel 1962) mette a nudo la sua psiche travagliata, la porta da uno psicoanalista o semplicemente la racconta a noi facendone qualcosa di onirico e di autobiografico insieme, un misto di memorie, di stream of consciousness, di dialoghi tesi, di suggestioni disordinate a metà tra dolore e leggerezza.
Non l'ho trovato eccezionale, ma ne ho apprezzato l'onestà, la schietta semplicità, il suo assomigliare ad un diario privato privo di organizzazione precisa e di ambizioni editoriali consapevoli.
Non c'è un stile di scrittura particolarmente bello (anche se è ben scritto), nessuna brillantezza memorabile, ma un'apertura totale verso il lettore che vive in prima fila lo spettacolo tragico(mico) e non programmatico di una donna in crisi su vari fronti.
C'è sempre da imparare dalle crisi femminili altrui e questo libro, seppur non rivoluzionario, qualcosa ti suggerisce. La possibilità di empatia è sempre aperta e proprio l'assenza di ornamenti romanzeschi rende tutto più crudelmente veritiero e più confortante.
La cosa che mi ha più colpito (e inquietato) del romanzo è una peculiarità singolarissima della signora Armitage: il suo incessante e irrazionale mettere al mondo figli, da mariti diversi, senza alcun ritegno anticoncezionale, senza senso, quasi fosse una cura al nulla, una necessità patologica.
Una caratteristica che non ti aspetti da una donna così elegante e socialmente ben collocata, che ha avuto tanti matrimoni e che ama uno sceneggiatore di successo dai classici tratti borghesemente fedifraghi: penseresti più ad una frigidità di gran classe, ad una paura radical chic di procreare, ad un'indipendenza dalla maternità esplicitata a suon di drink e cocktail. Tutt'al più ad una maternità ansiosa e ambivalente.
E invece la signora Armitage (= Penelope Mortimer) è un tipo di donna per me letterariamente nuovo: la madre seriale.
Ho provato grande curiosità per questa sua debolezza (che a dire il vero è anche una grande forza, di tipo animalesco) così carica di significati psichici profondi, per questo suo amare e voler sempre prove viventi in miniatura di questa collezione di amori.
Quasi come se l'esser moglie, o meglio il divenire di nuovo e ancora moglie, dovesse essere necessariamente sancito dal diventar madre.
Un tratto questo molto particolare e in contraddizione con l'insofferenza ribelle di questa donna, una sorta di annientamento e di sublimazione al tempo stesso di ogni spinta femminista, una dichiarazione di sottomissione e di potere supremo dell'utero.
L'utero non è poi così importante. E' solo la sede della vita, una cosa che tira giù la luna dal cielo come un aquilone e inspira ed espira il mare, dentro e fuori, il respiro del mondo. A scuola se dicevi "utero" la gente ridacchiava. Le donne non sono importanti.
Non so come interpretare queste sue parole...
Ci sarebbe da scomodare frotte di psicoanalisti, ma io mi limito a riflettere tra me e me e aggiungo un altro tassello all'enorme e intricato puzzle della psicologia femminile in ambito coniugale.
Non credo troverò mai qualcosa di superiore a Revolutionary Road in questo senso, ma leggere libri come La signora Armitage fa sempre piacere.Ci sarebbe anche da vedere il film tratto dal romanzo e sceneggiato da Harold Pinter (Frenesia del piacere, di Jack Clayton, 1964) con Anne Bancroft (che venne candidata all'Oscar per questo ruolo) nei panni della signora Armitage, ma non credo sia facilmente reperibile.
Immagino Anne Bancroft sia stata una signora Armitage perfetta; rivedo nel suo volto triste ed elegante certi tratti della fragile creatura di Penelope Mortimer.
Davvero interessante questo romanzo, è finito in wishlist!
RispondiEliminaSe ti piace il genere nevrosi femminile e ami leggere di donne non serene ti piacerà sicuramente. A me, nel suo piccolo, qualcosina ha lasciato :)
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