Serie tv mon amour: 35. Mad men - stagione finale


Quello che segue è un rapido, felice-infelice saluto finale ad una serie tv piezz' e' core.
Non sono in vena di approfondimenti, la scia emotiva fa muovere le mie dita sulla tastiera e esprimerà certamente en passant otto lunghi anni di storia d'amore.

Arrivo in ritardo (l'ultima puntata è andata in onda a maggio), ma almeno mi sono potuta congedare da questo tesoro di serie tv senza influenze mediatiche, sovrabbondanza opinionistica da social networks e chi più ne ha più ne metta.
Sono la sola a celebrare questo saluto finale adesso e l'aver aspettato così a lungo la dice lunga sul mio non volermi staccare da questa serie-madre, da questo amore forte datato 2007-2015.
Grazie Matthew Weiner, hai reso la mia pluriennale vita serale da divano in qualche modo migliore.

Addio Don, ai tuoi bicchieri di whisky tintinnanti, alle tue lacerazioni e ai tuoi tormenti nascosti dietro l'ordine lucido dei tuoi capelli e dei tuoi vestiti buoni, al tuo appeal sexy e introverso, al tuo genio indipendente e turbolento, alla tua parte mad e alla tua parte umanissima, alla tua infelicità, alle tue perturbazioni, alla tua vita esposta e a quella segreta.

Addio vita frenetica da pubblicitari, vita un po' languida un po' tesa, arena di idee, dollari e strategie, scenario retrò di situazioni modernissime.

Le 5 cose + 1 che mi mancheranno principalmente di Mad Men sono:

1) La sua bellezza. Al di là del suo contenuto e della sua narrazione, io ho guardato Mad Men in questi anni per pure ragioni estetiche, per colmare gli occhi di perfezione stilistica, di eleganza formale, di estetica vintage, di dettagli impeccabili e brillantezza costante.
Non c'è un solo momento di interruzione del bello in Mad Men, non ci sono mai cali di quella patina glamour che avvolge ogni elemento, ogni puntata come una luciccanza chic perenne.

2) Le sue dinamiche. Talvolta lento, talvolta destabilizzante e senza preavviso, il gioco di situazioni madmeniane è sempre accattivante, sempre fedele ai suoi particolari ritmi, ritmi pacati, quasi filosofici, senza frette narrative o furbizie da manuale, da amare o da abbandonare (se si amano le serie tv dai ritmi sincopati), da metabolizzare fino alla dipendenza assoluta.

3) New York e Madison Avenue. Quegli uffici dentro grattacieli megalomani, quella frenesia da newyorkers mista ad abbandoni riflessivi, quella luce così americana e invadente che filtra attraverso le grandi vetrate. E poi gli appuntamenti fuori, le cene di lavoro, le riunioni, tutte quelle frenesie da mad men di Mad-ison Avenue, da uomini di pubblicità d'assalto, colossi dentro colossi, individui metropolitani e rampanti, squali dell'advertising, spesso soggetti a crisi e introspezioni delicatissime.

4) La sua profondità romanzesca. Oltre lo stile strepitoso votato ad un'avvenenza visiva senza precedenti, Mad Men racconta vicende umane, intrecci di passato e presente, di micro e macrostoria, con spessore psicologico e classe narrativa, con capitoli che cambiano come cambiano le epoche e personaggi così complessi e approfonditi da sembrare reali, da generare sentimenti reali.

5) Le sue donne. Di tutti i tipi, subalterne, occasionali, da sposare, in carriera o dedite alla noia casalinga. Donne anni '50, anni '60 e anni '70, in evoluzione, in trasformazione. Donne caratterizzate in maniera perfetta, ognuna con il suo stile, il suo look (ah, gli outfits di queste donne, che spettacolo!), il suo bagaglio di sorrisi e lacrime.
Peggy, Joan, Betty (lacrimoni), Megan, Sally (e tutte le donne secondarie) non le dimenticherò mai.

Peggy in modo particolare, perché è la vera rivoluzione e l'icona della serie, stagione dopo stagione, sempre un po' più avanti nell'autonomia del farsi da sé, sempre meno perdente e sempre più carismatica.
Nel passaggio graduale da così:


a così:

c'è tutto un romanzo di formazione straordinario.

+1) La sua sigla d'apertura. Grafica e sonorità oramai leggendarie, non serve aggiungere altro.

E infatti mi fermo. Potrei disquisire fino a dar vita ad un saggio sul potere di questa serie che è già Storia, ma voglio salutarla senza eccedere col romanticismo.

L'immagine che continua a tornarmi felicemente in mente dopo il susseguirsi di sette stagioni, è questa:



Don che fa yoga, l'idea, il sorriso beffardo che rianima il suo viso, la sigla di chiusura, il mio sorriso enorme, e tutto ricomincia, almeno nella mia fantasia, ed è il rinnovarsi di un amore, di un modo di essere, non la sua fine.

(Che poi una manfrina simile l'avevo già scritta qui nel 2011. L'amore, si sa, rende ripetitivi).

Commenti

  1. Anche a me mancherà infinitamente, però mi consolo pensando che un finale migliore non potevano davvero tirarlo fuori dal cilindro.

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    1. è vero, si è chiusa talmente bene che riesci in qualche modo a prenderla bene!
      Quel finale è da antologia dei finali delle serie tv.

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