Il mio parere su Steve Jobs


Se quello che cercate è un biopic glorificante e in adorazione del suo soggetto, un'agiografia a sfondo informatico, rimarrete spiazzati da Steve Jobs di Danny Boyle (e dalla sceneggiatura di Aaron Sorkin).

Steve Jobs era un genio ed era insopportabile, era pieno di idee avanguardistiche e di esasperante individualismo, era una rivoluzione creativa e una continua involuzione a livello relazionale.
Idee informatiche elitarie e il pallino fisso della distinzione, della personalizzazione, anche a discapito delle persone.
Il sistema end-to-end del suo Macintosh era un po' lui in sostanza.

Jobs voleva tutto, lo voleva funzionante, lo voleva bello, lo voleva esclusivo e inclusivo, e voleva piegare tutti alla sua visione (talvolta visionaria) delle cose.

"Campo di distorsione della realtà", era questo il suo superpotere, la sua prepotenza.

Il suo Macintosh degli esordi doveva dire "Hello" all'accensione per stupire il pubblico, imperativo categorico, senza se e senza ma da perdenti.

Danny Boyle si concentra proprio sulle asperità del suo Jobs, su quei momenti di scontro e di attacco poco prima di lanci cruciali per la sua carriera; tre diverse arene più che altro verbali in tre diverse fasi della sua esistenza speciale.
1984, 1988, 1998.
Mac, NeXT, iMac.

Questo film è logorrea pura, è un continuo e serratissimo flusso di parole che non dà tregue acustiche allo spettatore, ha una vocazione quasi teatrale, è un sipario aperto su discorsi e orchestrazioni no-stop, su scontri di tipo shakespereano.

L'ho trovato magnificamente delirante, materia magmatica in continua fuoriuscita che un po' stordisce, ma che finisce per incantare, per trasmettere passione.

Il punto di vista di Danny Boyle è ingegnoso come il protagonista del film: esattamente come lui, è focalizzato sulla sua esemplarità e poco sulla comodità di chi guarda, privilegia il dietro le quinte e i momenti di energia egocentrica di Jobs, quelli in cui il fuoco sacro dell'innovazione informatica lo invade e lo rende un fierissimo e ostinato eroe.

Un eroe tutt'altro che eroico nella gestione dei rapporti col prossimo, un eroe del cinismo in nome dell'idea e della sua resa impeccabile. Di un cinismo brillante però.

Figure fondamentali per la storia di Apple come John Sculley, Steve Wozniak e Andy Hertzfeld non sono stati immuni dalla testardaggine di capitan Jobs.
Non solo Microsoft sul fronte dei nemici, insomma.

Il film è proprio incentrato sulle parole forti che Jobs scambia con queste persone o scaglia contro di loro. Una guerra fra punti di vista.

Unica eccezione in questo ring lungo una vita, la santissima Joanna Hoffman (Kate Winslet, magnifica, e che ve lo dico a fare), collaboratrice indefessa e forte quanto le ostinazioni pluriennali di Jobs.



E poi c'è la figlia Lisa e la paternità a fasi alterne di Jobs nei suoi confronti. Momenti di umanità perduta o ritrovata.
Nulla di troppo commovente, statene certi!


Tutta la parte mainstream della sua biografia e il classico e abusato "Stay hungry, stay foolish" non interessano a Boyle ed è un bene perché Steve Jobs nelle sue mani diventa un'opera esclusiva, uno sguardo dall'inclinazione singolare, dalla focalizzazione inaspettata.

Quello che ci vuole per raccontare personaggi dall'esposizione globale: una prospettiva specifica e ridotta, non un tributo.

Michael Fassbender per me è da Oscar (forgive me Leo!), perché trasmette tutta la carica ingestibile di curiosità, di lungimiranza e di indole difficile dell'uomo che rappresenta, facendosi Jobs senza mai imitarlo.
L'ho trovato potentissimo, enorme, un fiume in piena.

Non sono mai stata e non sarò mai un'idolatra del Mac, dell'iPod, dell'iPad, dell'iPhone, credo nel progresso, ma trascuro il suo design; ho sempre provato più simpatia per Alan Turing che per Steve Jobs, per intenderci.
Credo sia anche per questo che ho trovato splendido il film di Danny Boyle: perché mentre celebra, demistifica, mentre racconta, sottolinea le storture, mentre trasmette trionfo e genialità, non nasconde le zone d'ombra dei grandi traguardi.

Umanità insomma: pregi enormi, tanti difetti. Nessun idolo.

Quando sul finire del film parte l'intimista Grew Up at Midnight dei The Maccabees ho avuto brividi di emozione, non per la persona di Steve Jobs, ma per la dedizione di Fassbender e lo stile prezioso di Danny Boyle.

Commenti

  1. Deciso! Ora che ho letto l'ennesime recensione entusiastica dei miei fidatissimi, mi fiondo a guardarlo appena posso! :D

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  2. Bella recensione. Occhio arguto.
    Devo dire che Jobs non l'ho mai digerito fino in fondo, sia per l'idolatria nata pre-post mortem, sia per un'etica del lavoro non proprio da sindacalista.

    Ah, i Maccabees...

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    1. Grazie cara!
      Nemmeno io lo ammiravo più di tanto e per fortuna anche il film non lo venera affatto.
      Non conoscevo questo gruppo e con questo pezzo me ne sono innamorata <3

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  3. Mamma mia, quanto ho amato questo film! Mi ha tenuto con gli occhi incollati allo schermo per tutta la sua durata, senza perdermi nemmeno mezza parola (e di parole come dicevi tu ce ne son state tante!). Privo di spettacolarità, ma coinvolgente al massimo. Ciascun attore trascina potentemente lo spettatore con la sua presenza. Fassbender e Winslet immensi, attori con la A maiuscola.

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  4. Mi hai convinto, lo vedrò al più presto :)

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