I Love Books: 150. Indignazione



Trovate altri miei atti di fede nei confronti di Philip Roth quiquiquiquiquiquiqui.
Il suo talento nella scrittura è qualcosa di simile all'onnipotenza e anche nei romanzi brevi sono contenuti ordigni esplosivi di miracoloso effetto.

Quando leggo Roth dopo mi capita sempre di applicare ciò che ho letto alla mia personale esperienza di essere umano, mi capita di pensare "anch'io a volte agisco così", di relazionarmi con ciò che leggo ben oltre la mera attività del leggere. Le sue storie di ineluttabilità, di errore e di mille altre variabili dello spettro umano si riversano su di me per giorni e giorni.
Roth sa tutto di me e di noi.

Con Indignazione è accaduto ancora. La parabola discendente del protagonista - fulminea e rovinosa - ci riguarda in qualche modo tutti.

Un incontro può sconvolgere un progetto di vita. Una caparbietà eroica può trasformarsi in una rovina.

Certe volte ci impuntiamo su qualcosa, un'idea, un credo, una convinzione, e il nostro non spostarci di una virgola rispetto a questa cosa ci fa sentire integri e intrepidi, paladini della nostra coerenza interiore, ma ne vale davvero la pena? Non rischia di farci più male che bene questa schiettezza priva di sfumature? In nome di cosa siamo così recalcitranti e autodistruttivi? È l'orgoglio il nemico più pericoloso?

Marcus Messner è la tipica creatura rothiana dalla sensibilità iperbolica e dal destino pesante.
La sua vita potrebbe prosperare nel giusto e nel bene della sua giovinezza, ma la guerra di Corea gli alita sul collo ed è pronta a prenderselo. E lui, che potrebbe evitare il fronte attraverso gli studi universitari in cui eccelle, sembra far di tutto per condannarsi alla fine.
La sua onestà intellettuale è un richiamo alle armi, è essa stessa un'arma.

Marcus è l'ostinazione ideologica fatta persona, nei suoi atti c'è un'integrità distruttiva, nelle sue parole c'è il furore che mentre declama le sue ferree convinzioni celebra la sua distruzione, destinazione Corea.

Studia a Newark, vicino casa, ma il padre apprensivo all'inverosimile lo costringe all'allontanamento. Allora si sposta in un college mediocre dell'Ohio, per salvarsi dalle angosce familiari.

Quel padre macellaio kosher che l'ha educato al sangue (a cui Marcus non si è mai abituato) e all'eviscerazione dei polli, che l'ha esposto fin da bambino al lavoro duro fatto bene e senza titubanze, sembra perdere la testa. E Marcus cerca di mettere in salvo almeno la sua.

Poi arriva Olivia Hutton, bellissima e mentalmente instabile, il suo darsi e dare senza freni. Talmente a suo agio nella sfera sessuale (siamo negli anni '50) da spiazzare Marcus e il sistema di valori che si era creato. Un incontro di pulsioni erotiche giovanili, l'inizio di una libertà senza ritorno.
[...] era accigliata, e ogni volta che la sua espressione cambiava, cambiava anche la sua bellezza. Non era una bella ragazza, era venticinque diverse belle ragazze.
Il seme fluisce e anche la parola e Marcus non riesce a trattenersi.
Vomita (non solo metaforicamente) al decano Caudwell tutto quello in cui crede e non crede, si libera da principi stretti, dalle aspettative religiose del college, dalle regole di un sistema vecchio e dedito alla formalità. Sa di rischiare l'espulsione, sa che l'espulsione vuol dire andare in Corea e probabilmente morirci, ma l'indignazione continua a sgorgare e non c'è verso di arrestarla.
Come nell'inno nazionale degli alleati cinesi durante la seconda guerra mondiale: "L'indignazione riempie i cuori di tutti i nostri compatrioti"
Il "buon vecchio spavaldo Vaffanculo americano" arriva e Marcus lo sputa fuori. Addio giovinezza, Benvenuto fronte. Amen.

E prima ancora del vaffanculo tragico e definitivo, c'era stata la fervente esposizione del suo amato Perché non sono cristiano di Bertrand Russel. Provocare il decano e sentirsi fieramente schierati in un unico atto. La giovinezza che fa fare cazzate.
La religione, dichiara, si fonda originariamente e principalmente sulla paura: paura dell'occulto, paura dell'insuccesso, paura della morte. La paura, dice Bertrand Russel, è parente della crudeltà, e non c'è dunque da stupirsi se nel corso dei secoli crudeltà e religione sono andate a braccetto.
[...] Questi sono i pensieri di un premio Nobel rinomato per i suoi contributi alla filosofia e per la sua padronanza della logica e della teoria della conoscenza, e io mi trovo in totale accordo con lui. Avendo studiato questi pensieri e avendoci riflettuto a fondo, intendo vivere in conformità ad essi, e certamente lei ammetterà, signore, che ne ho tutto il diritto.
E se non bastasse la ribellione antidogmatica, ci si mette anche Olivia, così casuale e fatale per Marcus. La sua affascinante fragilità e la sua competenza sessuale sono il connubio perfetto per l'attivazione della catastrofe. Se solo Marcus se ne rendesse conto e desse retta a sua madre...
Hai coscienza, hai compassione, hai anche dolcezza...allora dimmi, saprai fare le cose che si renderanno necessarie con questa ragazza? Perché la debolezza di un'altra persona può distruggerci tanto quanto la sua forza. Le persone deboli non sono innocue. La loro debolezza può essere la loro forza. 
E così, in poco più di 100 pagine, un'incalzante serie di azioni e reazioni conduce Marcus verso una fine prematura talmente sbagliata da apparire quasi grottesca.
Una presa di posizione non necessaria, una parola di troppo, un incontro accidentale e tutto può cambiare direzione. Il sistema delle sliding doors è universale e sempre attivo.
[...] se fosse stato in grado di mandar giù le funzioni in cappella e di tenere la bocca chiusa, si sarebbe laureato al Winesburg College - più che probabilmente come migliore del suo corso - rimandando così il momento di imparare ciò che il suo incolto padre aveva tanto cercato di insegnargli: il terribile, incomprensibile modo in cui le scelte più accidentali, più banali, addirittura più comiche, producono gli esiti più sproporzionati.
Il famoso ineluttabile di Roth. Spaventoso e autentico come sempre. 

Commenti

  1. Mi ritrovo molto nelle parole che hai scritto all'inizio, nonostante io abbia molta meno confidenza con Roth, rispetto a te: ho infatti letto soltanto un suo romanzo, parecchi anni fa ormai. Si trattava di Quando lei era buona. La lettura mi ha segnata e turbata a tal punto che, inconsciamente, non ho più preso in mano un altro suo libro, nonostante io ne abbia un paio sugli scaffali in attesa di esser affrontati. Già soltanto le citazioni che hai riportato, colpiscono dritto al segno, posso solo immaginare come sia bersi d'un fiato queste cento pagine. Prima o poi troverò il coraggio di incontrare ancora il buon vecchio Philip...

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    1. Quando lei era buona è in effetti moooolto triste e angosciante, soprattutto se si è giovani come la sfortunata protagonista. Roth non è mai una passeggiata o una possibilità di evasione, ma al contrario una possibilità di comprensione e analisi di come siamo fatti. Fa male proprio per questo, ma fa anche sentire più parte del tutto, più compresi. Ritrova il coraggio quando vuoi, non c'è mai fretta in letteratura ;) (Puoi navigare tra i miei post se sei indecisa su cosa scegliere della sua vasta produzione)

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  2. Uno dei miei autori preferiti. Ciclicamente torno a rileggerlo.

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  3. Qual è il suo miglior romanzo? Da dove posso iniziare?

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