Il mio parere su La grande bellezza
(Ho visto questo film in penoso ritardo rispetto alla sua uscita, a fine agosto, in un'arena all'aperto fatiscente, di quelle con i sedili in plastica rotti e l'audio disturbato dalla musica notturna della chalet accanto; una location in perfetta armonia con un film come La grande bellezza in cui lo sfracello e lo sfacelo regnano incontrastati.)
La miseria umana, la tetraggine esistenziale, la vanitas vanitatum, il patetico dimenarsi alla ricerca di un'evasione anestetica, e poi i rari, perfetti momenti di bellezza in mezzo al vuoto.
Questa è la vita e Sorrentino non poteva farne affresco più bello e struggente, più folle e poetico.
Quella de La grande bellezza è autentica poesia, una poesia fortemente simbolica e sibillina, a tratti ermetica, con versi ora dolci e soavi, ora sgraziati e barocchi, un tipo di arte per immagini cafona e lirica, volgare e struggente.
Roma è il cuore malato e affaticato di questa bizzarra parabola sorrentiniana, è il motore rumoroso e ridicolo di una movida atrocemente kitsch, di una serie di vite più o meno perdute tra fasti altoborghesi, trenini festaioli, botox party e altre forme contemporanee di degrado umano.
Sultano beffardo e girovago di questa capitale capitolata nel trash è Gep Gambardella, uno scrittore in crisi creativa da decenni, un giullare triste, dispensatore di perle di saggezza e feste pompatissime, di socialità esasperata e introspezioni disperate, una figura grottesca dal carisma pazzesco.
Sorrentino ha sempre tratteggiato personaggi picareschi nei suoi film, tipi umani dai connotati fisici e caratteriali esclusivi, di impatto memorabile, ma qui si è superato: Gep/Toni Servillo è di una forza estetica travolgente, è una calamita costante per lo sguardo, il trascinatore ipnotico di due ore e mezza di pellicola sregolata, matta e spesso incomprensibile e girovaga come i migliori flussi di coscienza.
Gep mi è entrato nel cuore forse più di Titta Di Girolamo de Le conseguenza dell'amore, l'ho sentito più vicino, seppur immerso nel paradosso, ed è uno dei personaggi più dolorosamente umani che abbia mai visto al cinema.
Tutto il contorno del film è disumano e deforme, è una delle cose più tristi e tetre mai viste sul grande schermo, persino Roma, nella sua meraviglia classica, è di una decadenza che fa male, ma è proprio in mezzo a questo penoso bordello che la figura di Gep si erge in tutta la sua solenne profondità, con le sue parole ricercate, i suoi pensieri magnifici, la sua ricerca del bello e la sua dolce-amara consapevolezza del niente che ci circonda e stordisce. E' lui la vera grande bellezza del film, una bellezza non sparuta o incostante, ma decisa, addolorata e duratura.
Solo una raffinato regista come Sorrentino poteva mischiare in modo così potente bruttezza e bellezza, marciume e magnificenza, la Roma sguaiata e la Roma elegante, quella slacciata e quella ingessata, e solo lui poteva rendere un calderone estetizzante di simbolismi ed echi felliniani, di frammenti e stranezze ai limiti del freak, un film completo, complesso e di grande valore umano, in grado di creare mille diverse suggestioni, infinite riflessioni sulla vita, la morte e tutto ciò che c'è in mezzo.
Devo vederlo pure io... non ti leggo ancora, ne ho sentite di cotte e di crude su questo film, aspetto di visionarlo!
RispondiEliminaMi trovi d'accordo su ogni singola parola!
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