I Love Books: 82. Il commesso



Quando ripenso a Il commesso (e ci penso spesso pur avendolo finito una settimana fa) mi viene subito in mente questo: delicatezza narrativa, sobrietà che non è mancanza di stile, ma uno stile diverso, di tipo timido e pacifico, di tipo sommesso. La forza nascosta della modestia.

Ho amato molto questo libro e mi riesce difficile spiegarne il perché: so solo che mi ha avvolta come in un bozzolo protettivo e consolante, mi ha trasmesso un senso di gentilezza.

La storia è essenziale: un negozio di generi alimentari in crisi a New York a causa della concorrenza limitrofa, un negoziante ebreo rassegnato di nome Morris Bober, l'arrivo di Frank Alpine, un aspirante e misterioso commesso che si offre di aiutarlo gratuitamente, il rapporto di costui con il negozio, il negoziante, la moglie del negoziante e soprattutto con Helen, la figlia del negoziante, le conseguenze di tutto ciò.
Gli eventi narrati sono minimi, minuti, immersi in una quotidianità tutt'altro che epica e romanzesca.

Detto così sembra il nulla, ma c'è della magia in questo minimalismo, c'è una vicenda umanissima, coinvolgente, in grado di suscitare vivaci ondate di curiosità, di ironia, di amarezza. Si legge d'un fiato e si ama all'istante.

Dentro "l'umiltà" de Il commesso si trovano cose grandi e universali e credo sia questo il segreto del suo fascino e dell'empatia che suscita in ogni lettore.
Il destino, sia esso Dio o le circostanze, il sacrificio che spesso è sinonimo della vita stessa, la redenzione e il riscatto personale che non tutti riescono a sperimentare, il sogno americano infranto, l'amore e i suoi ostacoli, l'ineluttabile.

E poi, c'è anche l'ebraismo, la questione complicatissima dell'essere ebrei che spesso vuol dire "ebreizzare" se stessi, in senso negativo, pessimista, fatalista.
Morris Bober è un perdente, ma è stato in qualche modo lui a cucirsi addosso questa etichetta tragica.
Tramite il suo personaggio si avverte un senso fortissimo di dignità, di commovente onestà che fa quasi rabbia perché sconfina spesso nella passività, nella resa.

Mentre Frank Alpine, che ebreo non è, ma è altrettanto fallito e disorientato, ci prova sempre a rimettersi in gioco, ad agire; il suo savoir faire rispetto alla vita è a tratti tragicomico e incomprensibile, ma degno di ammirazione.

Le vite di Dubin mi era piaciuto per lo stile e l'eleganza descrittiva, ma il suo contenuto non mi aveva convinto completamente e mi aveva fatto giudicare Malamud tiepidamente.

Il commesso è meno ricercato nello stile, più semplice, ma è incredibilmente suggestivo e vivo e senza alcuna forma di manierismo e di imponenza riesce ad essere un romanzo raffinato, prezioso come le cose più delicate. Il mio giudizio su Malamud è cambiato ed diventato qualcosa di simile alla riconoscenza.

Come mi era già successo con Stoner, la forza del pudore e della discrezione mi ha commosso, mi ha accarezzato il cuore.
Non c'è nulla di forte, di prepotente, di destabilizzante ne Il commesso, non è un romanzo arrabbiato alla Philip Roth, non è minimamente impetuoso, ti prende per mano con un tocco lieve e ti dona il piacere di una narrazione ovattata, rispettosa, in cui le cose minute, i gesti della routine più umile acquistano un potere magnetico e riescono ad avere una portata molto più vasta e profonda di quello che si possa pensare.

La vita è fatta così, come Il commesso: di scelte, di errori, di azioni ripetute, di niente, di tutto.
Ne Il commesso c'è dentro la vita, quella reale e antiromanzesca, ed è forse per questo che la sensazione prevalente durante la lettura è quella di una straordinaria, confortante, commovente familiarità.

Commenti

Posta un commento

Post popolari in questo blog

I Love Books: 104. La macchia umana

I Love Books: 94. Le braci

Il mio parere su Il racconto dei racconti

I Love Books: 100. Padri e figli

Il mio parere su The Impossible

La Donna della Domenica: 4. Natalie Portman