I Love Books: 58. Tom Jones
Quando penso al romanzo come genere, penso in automatico, e con sfumature mentali dorate, all'Ottocento, all'Inghilterra, alla Francia e alla Russia, all'età vittoriana e al Romanticismo.
Quando vado a cercare un libro dell'Ottocento so bene cosa ci troverò dentro, quale tipo di emozione e passione proverò, che tipo di percorso umano e psicologico mi verrà regalato. Mi ci sento a casa dentro le pagine di un romanzo di quell'epoca, una parte del mio cuore di lettrice si è costruito lì.
Per una volta ho voluto cambiare comfort zone di lettura e cimentarmi con un classico inglese del Settecento, Tom Jones di Henry Fielding, uno di quei romanzi di cui si parla sempre nei libri di letteratura inglese del liceo, ma che nessuno legge integralmente se non sotto costrizione didattica. Un po' come accade con I Promessi sposi.
In effetti il tomo di mille pagine dà, all'avvio della lettura, l'impressione che si sia appena intrapresa un'impresa donchisciottesca e che ci sarà un investimento di tempo e diottrie da fare; a dire il vero bastano poche pagine a far svanire questa sensazione, perché è chiaro che si tratta di un contenuto lungo, ma leggero, scanzonato e che Henry Fielding è un burlone, un intrattenitore.
Tom Jones è infatti un romanzo picaresco, di quelli con un eroe di bassa estrazione sociale a tendenza libertina, avventure semiserie e spesso oscene, personaggi da commedia dell'arte, situazioni da commedia degli equivoci e altre vicissitudini ai limiti del carnevalesco e dello pseudo-cavalleresco.
Lo stile di Fielding è da romanziere realista, quanto di più semplice e diretto ci possa essere, quasi elementare, da cantastorie di strada ed è anche per questo che la lettura scorre veloce senza intoppi stilistici e sovrastrutture colte di alcun tipo (a parte qualche maccheronata insopportabile di latinismi!).
Per chi come me è più abituato al sentimento e alla nobiltà della letteratura ottocentesca, un romanzo di questo tipo può risultare superficiale, circense, privo di profondità; da una parte ciò è vero, non ci si emoziona e non si toccano istanti di pura bellezza, tutto è prosaico, terragno, rude, tutto è lazzi e vizi.
D'altra parte però ci si diverte e l'umorismo di Fielding, il suo modo poco settecentesco di ironizzare, mettere alla berlina, senza disdegnare qua e là il turpiloquio e il licenzioso, la sua sfacciataggine moderna è il motivo principale per cui vale la pena leggere quest'opera.
Anzi direi proprio che il vero protagonista di Tom Jones non è il trovatello Tom Jones, la sua innamorata Sophia e tutto ciò che sta in mezzo al coronamento del loro amore impossibile, ma è Henry Fielding in persona.
La sua presenza è costante e immanente al romanzo, tutt'altro che nascosta, e si manifesta attraverso lunghe prefazioni ai singoli capitoli, digressioni e commenti personali sulla vita, l'umanità, l'arte e quant'altro.
Se in alcuni interventi risulta egocentrico e cattedratico, in altri è uno spasso, come quando si scaglia contro i critici e dice "...colgo l'occasione per raccomandare a tutti i critici di badare ai propri affari e di non immischiarsi in questioni o opere che non li riguardano; finché non dichiareranno in base a quale autorità si arrogano il diritto d'esser giudici, io non accetterò il loro giudizio."
Momenti sarcastici di questo tipo salvano il romanzo dall'essere una noia mortale e anacronistica, una maxi novella simil-boccacesca da quattro soldi.
Leggendo Tom Jones ho pensato spesso al
Preferisco i salotti alle taverne, le tazze di tè ai boccali di birra, lo struggimento al folklore.
Pertanto me ne ritorno subito nell'Ottocento.
Io non ho letto il libro (sono anch'io più affezionata a scrittori dell'800 che del 700), ma ho visto il film di e devo dire che guardandolo ho avuto la stessa tua impressione nel leggere il libro. Baci, Silvia
RispondiEliminaIl film non l'ho visto, e visto il poco entusiasmo verso la storia in sé credo proprio che non lo vedrò! Baci anche a te!
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