I Love Books: 136. Le otto montagne
Le otto montagne di Paolo Cognetti è ormai un caso letterario, lo sappiamo tutti, e sebbene io diffidi dei casi letterari con fascetta editoriale rimovibile perché ci vedo dello spregevole marketing dietro, stavolta devo ammettere di concordare con l'enfasi pubblicitaria e con l'entusiasmo collettivo.
Le otto montagne non è un capolavoro, non ha grandi novità al suo interno né una scrittura particolarmente connotata, eppure ha un valore grande, un sussurro universale al suo interno che scalda il cuore e fa sentire meno soli. Scioglie ghiacciai emotivi che non credevi nemmeno di avere.
Buffo come un libro che parli di montagne, severe, imponenti, matriarcali, abbia un cuore tenero, fragile, votato all'umiltà.
Le montagne sono impervie e maestose, questo libro è semplice, minimale, non cerca di scalare vette, ma si offre al lettore come un rifugio a valle.
Alla base c'è una storia di amicizia maschile nata durante l'infanzia e portata avanti attraverso gli anni e la storia di un amore per la montagna declinata in due modi diversi. Il sentiero della libertà di Pietro e quello del radicamento ostinato e necessario di Bruno. Il primo metropolitano girovago, l'altro autoctono integralista.
Pietro è sempre in moto tra l'altrove e la quiete primordiale della sua montagna, Bruno è una sorta di rudere piantato ad alte quote e incapace di scendere là dove la vita potrebbe essere diversa, moderna, meno ruvida.
Il milanese e il montanaro, due vite, due quote diverse, ma lo stesso bisogno di un riparo, di un valore da custodire.
Il paesello di Grana, alle pendici del Monte Rosa, è il locus amoenus di questa amicizia di roccia, di ghiaccio perenne e di fuoco acceso, da lì tutto inizia, tutto sale e scende e la vita si inerpica su sentieri diversi che convergono sempre lì, alla fine.
L'esplorazione festosa dell'infanzia, la crescita e l'inevitabilità dell'allontanamento, il ritorno alternato, la ricerca incessante di un proprio posto nel mondo, l'ineluttabilità delle radici, il rapporto genitori-figli: dentro questi macro-temi, trattati da Cognetti con grazia ed essenzialità, è facile rispecchiarsi, trovare una parte del proprio vissuto, che sia un gioco d'infanzia a perdifiato, una crisi, un'amicizia perduta o ritrovata, un dissidio familiare.
Le otto montagne abbraccia tutti, è democrazia letteraria, è bontà narrativa, e credo sia questo il motivo del suo grande successo di critica e pubblico.
Personalmente non comprendo molto la montagna e l'andare verso il nulla di chi ci cammina sopra bardato di zaino, ciaspole e altri ammennicoli comprati al Decathlon.
Per motivi geografici ho sempre preferito i paesaggi marini a quelli alpini, il costume da bagno alla giacca Colmar, e il mio primissimo approccio al romanzo è stato diffidente, come stessi per leggere un libro scritto da Messner.
Sciocca isolana che sono stata!
La montagna, le montagne descritte da Cognetti sono carismatiche, cariche di senso, metaforiche, sono occasioni di vita, bussola in caso di perdita di sé, cassa di risonanza di stati d'animo, casa, riparo, scontro, riconciliazione.
Il padre di Pietro che inizia il figlio fin dalla più tenera età alle scalate con pretese piuttosto alte, è forse quel prototipo di amante della montagna che non riuscirò mai a capire bene. Quel culto della fatica e dall'auto-sfida muscolare mi riesce difficile afferrarlo, mi sembra, a volte, solo un'altra versione del furore sportivo che dilaga e poco mi si confa (mountain lovers, perdonatemi). Infatti il suo personaggio è quello con cui sono entrata più in conflitto (a seguire l'inamovibile Bruno).
Ma la narrazione malinconica, dolce e sofferta della montagna di Pietro e del suo grande amico Bruno, è stata un'esperienza intensa e delicata insieme, ricca di sfumature e di prospettive, assolata o innevata, fraterna o solitaria, sempre umanissima. E io che consideravo la montagna disumana!
Le otto montagne è uno dei romanzi più umani che abbia mai letto ed uno specchio per gli umani di ogni dove, per quelli di pianura, per quelli di collina e per quelli di montagna.
Io mi sono sentita molto Pietro e mi sono rivista nei suoi andirivieni esistenziali.
Bruno invece l'ho visto come un orso (nomen omen!), votato alla solitudine, ad una vita primordiale, creatura che lontano dal suo habitat si estingue.
Leggete Le otto montagne, anche se amate il mare, anche se non sapete cosa sono i ramponi.
Lo amerete.
Mi è piaciuto molto come hai sviscerato il romanzo, bellissime le metafore che hai utilizzato, hanno reso le tue parole una coccola, quanto il romanzo. Leggerò il romanzo questo mese e incontrerò l'autore per una Reading, una presentazione speciale in cui lui leggerà stralci di romanzo per poi commentarli con noi. Spero di apprezzarlo quanto te!
RispondiEliminaGrazie Cuore zingaro e benvenuto/a!
EliminaChe bellezza l'incontro con l'autore e il reading, sarà bellissimo ascoltare le parole del libro direttamente da chi le ha pensate e scritte. Buona lettura :D
accetto il consiglio di buon grado...
RispondiEliminaÈ un romanzo che penso possa piacere a tutti. Buona lettura ;)
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