I Love Books: 19. Eugénie Grandet


Aver letto questo libro in tempi di crisi economica sia storica che personale è stato poco consolante e parecchio snervante e se a ciò aggiungo il fatto che dal punto di vista letterario non sono riuscita ad apprezzarlo, posso ben dire che è stata una lettura rapida, indigesta e deludente.
Mi aspettavo una gran bella opera ricca e romanzesca "alla Flaubert", un capolavoro, un classico irrinunciabile, ma sono rimasta delusa.
Il trionfo della monotonia e della tristezza, la piaga del provincialismo resa libro, la Francia meno elegante e avvincente che si possa immaginare in un romanzo.
Il realismo, che è alla base dello stile e della scrittura di Balzac, riduce la narrazione all'essenziale ed è tagliente nella sua spoglia freddezza, nella mancanza di orpelli e abbellimenti letterari dedicati al lettore, e così il romanzo mi è risultato noioso, freddo, arido, privo di quel calore romanzesco tipicamente francese.
Balzac, raccontandoci la storia del ricchissimo e avaro vignarolo Grandet, che fa un baffo all'avaro di Moliere e che riduce la figlia Eugénie e la povera moglie in condizioni di vita misere, elenca numeri, cifre, ricchezze e averi, noie da ragioneria, in un modo fastidioso e snervante pari solo al carattere dell'antipatico spilorcio Grandet. Quest'ultimo è un personaggio davvero insopportabile, in grado di farmi innervosire come pochi, una merda umana. Idem per quanto riguarda il personaggio di Eugénie, remissivo ai limiti della stupidità, verginale e sottomesso in quel modo insopportabile alla Lucia Mondella.
Balzac è il maestro di quella che è stata definita la "commedia umana", una sorta di studio su usi e costumi della borghesia francese del suo tempo e io posso capire la sottile ironia e l'ammirevole analisi antropologica nascosta dietro tutto questo, ma non sono riuscita nè a sorridere nè ad ammirare questo osannato romanzo.


L'incipit rede bene la tristezza che pervade tutto il libro fino alla fine (per fortuna sono solo 160 pagine!):

In alcune provincie si trovano case la cui vista ispira una malinconia simile a quella dei chiostri più tetri, delle lande più desolate, delle rovine più tristi: in queste case vi sono forse qualche volta e il silenzio del chiostro, e l'aridità delle lande, e le rovine. Vita e movimento vi sono così tranquilli che un forestiero le riterrebbe inabitate, se d'un tratto non incontrasse lo sguardo smorto e freddo di una persona immobile, la cui figura, mezzo monastica, sporge dal parapetto della finestra al rumore di un passo insolito. Tale melanconia esiste anche in una casa di Saumur, in cima alla via montagnosa che mena al castello nella parte alta della città.

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